Qualcuna di voi non si sarà
lasciata intimorire dal titolo che può evidentemente suggerire qualcosa di più.
In-Fibula , questo un titolo molto eloquente che necessariamente rimanda alla
questione della pratica dell’infibulazione e più in generale alla questione
delle cosiddette Mutilazioni Genitali Femminili (MGF).
Fibula è il nome latino della
fibbia e della spilla e non è un caso che questa macabra “usanza” prenda il
nome proprio da un oggetto di così banale uso comune: la spilla serve ad
assicurare i vestiti, a tenerli ben saldi al corpo, a chiudere due parti, ad
unire due punti di una veste che altrimenti farebbe trapelare ciò che invece
deve proteggere .
Ma andiamo per gradi.
Che cosa è la MGF? Si definisce mutilazione ogni irreversibile e
definitiva rimozione di un organo sano.
Le mutilazioni genitali femminili interessano la parte esterna dell’organo
femminile e nello specifico si tratta della vulva (le grandi labbra, le piccole labbra e
il clitoride); oltre alla totale o parziale rimozione, le mutilazioni genitali
femminili comprendono tutte le procedure che riguardano le “ingiurie” agli
organi femminili per motivi culturali o per ragioni che non sono terapeutiche.
La più dolorosa, invasiva e
frequente forma di MGF è l´infibulazione, conosciuta anche con il nome
di circoncisione faraonica.
Quali le origini? Le MGF sono usanze indigene profondamente
radicate nelle società locali e preesistenti alla penetrazione dell´ Islam
nell´ Africa sub-sahariana iniziata a partire dal 1050; l’attribuzione che
spesso viene fatta all´ Islam dell´ origine delle mutilazioni genitali
femminili è probabilmente dovuta alla maggiore tolleranza dimostrata nei
confronti di tale pratiche tradizionali, che sono state invece molto più
contrastate da parte cattolica. Ricostruire l´ origine delle mutilazioni non e´
cosa semplice. Se è vero che le origini
sono attribuibili all’età dei faraoni è vero anche che tali pratiche sono
ancora in vigore e danno coerenza e ragione d’essere ad un sistema economico e
sociale complesso costituito da strategie matrimoniali, dall’occupazione di
determinati ruoli nell’organizzazione sociale basata sulla disparità fra sessi
e dalla vita di relazioni (parentali, coniugali, amicali).
Dietro questo silenzio c´è un
mondo di donne chiuso su se stesso, un mondo di interni, sospeso tra l´ attesa
e il timore di tagliare via una parte del corpo delle proprie bambine nel corso
di cerimonie di cui per secoli le madri sono state le grandi registe, e c’è un
mondo esterno, quello degli uomini, che
seppur estraneo e distante ha però ha
fondato tuttavia le proprie strategie di potere, determinato la costruzione
dell´ identità di genere, l´ appartenenza etnica, oltre che la definizione dei
rapporti tra i sessi e le generazioni.
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Fonte: www.chiovoloni.it |
La procedura. I più comuni casi di MGF in Africa sono
infibulazioni e qui mi limiterò a
descriverne sommariamente la macabra prassi; come dice il nome stesso,
l’infibulazione è la chiusura chirurgica, attraverso l’uso di spine o di punti
di seta, delle labbra a seguito di una rimozione del prepuzio, una parziale o totale
escissione del clitoride e delle labbra stesse; la pratica, in ultima fase,
prevede una fasciatura delle gambe al fine di facilitare la cicatrizzazione
della parte interessata che sarà ridotta al minimo nelle dimensioni consentendo
a malapena l’espulsione delle urine e del sangue mestruale.
Tipologia di MGF, età e
procedure dipendono da diversi fattori quali il gruppo etnico di appartenenza,
l´estrazione sociale, l’appartenenza a status diversi, la posizione economica
e, per così dire, patrimoniale della famiglia. L´ età delle donne può variare
tra i quattro e gli otto anni: mentre nelle aree urbane la pratica avviene in
precoce età (forse perché da bambine il dolore si “dimentica” prima e più
facilmente) nelle aree rurali, invece, essa viene notevolmente ritardata affinchè la
donna possa comprendere appieno il significato culturale e possa esserne matura
e consapevole.
L´ esperienza viene
vissuta in solitudine con il gruppo familiare fatto di sole donne, fatto di
legami familiari generazionali (nonne, madri, sorelle) oppure in gruppo in cui
più ragazze della medesima età condividono una cerimonia iniziatica, un rito di
passaggio. Il luogo scelto è di solito l’abitazione della donna o di una
parente, chi compie il rito in tutte le sue parti è di solito una persona
sprovvista di conoscenze medicochirurgiche ma culturalmente immersa in ogni
minimo passaggio, e dunque la nonna o una parente di sangue. La preoccupazione per
chi agisce questa violenta mutilazione non è la morte, o le infezioni
irreversibili, o la trasmissione di malattie incurabili , né le scarse
condizioni igieniche, bensì la riuscita di questo rito, di questo momento di
festa tutto al femminile. Viceversa, chi si sottopone perché costretta a farlo
resta per tempo in preda al dolore, un dolore condiviso solo da queste donne
tutte accomunate dallo stesso destino, un dolore sotteso a questo mondo femmineo, un mondo fatto di regole a cui
sottostare, un mondo fatto di rinunce alla natura di donne, alla sessualità, un
mondo tutto rosa che le rende donne solo e soltanto con l’asportazione
dell’unico residuo sessuale maschile (il clitoride,considerato il prepuzio mai
sviluppato).Non c’è rimedio al dolore, fisico e psicologico, non c’è anestesia,
né cure a posteriori.
Identità di genere: quale questione? Come già detto più volte, le mutilazioni genitali femminili sono uno di
quei riti di passaggio che regolano i mutamenti di status, scandiscono le varie
fasi del ciclo di vita e trasformano la vita in un percorso dotato di senso che
ne soddisfa i bisogni di identità e di riconoscimento.
Donna non si nasce, nel
senso che la connotazione biologica non riesce ad essere di per sé un fattore
sufficiente di distinzione tra sessi e le MGF diventano una componente fondamentale dei riti di
iniziazione, un “marcatore sessuale” attraverso cui nelle società tradizionali
si diventa “donna“.
In queste culture non
esiste sottrarsi alla MGF, sarebbe una condanna all’emarginazione, in quanto il
corpo naturale e´ impuro, aperto e violabile, esposto ad una promiscuità che
rischia di essere contaminante non solo per la singola donna ma per tutto il
suo gruppo familiare, che e´ destinato al discredito e alla vergogna.
Le MGF evidenziano due
tipi di relazioni importanti: quella tra i sessi e quella tra le generazioni e
l’unico segno, la cicatrice resterà l’unico segno della propria appartenenza etnica, un limen
che segna dall´ interno l’appartenenza comunitaria: ogni donna si riconosce ed
e´ riconosciuta come membro della propria comunità.
Care amiche, poche righe
ancora per non aggiungere nulla più a quello che sembra definirsi come l’ennesimo
esempio di violenza e abuso perpetrato a discapito dell’universo femminile, una
violazione dei diritti umani, l’ennesimo esempio di un non riconoscimento di
una identità pura e semplice, qual è la donna.
Miriam
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