Chi di voi,
care amiche lettrici di Consigli di make up, si ricorda e canticchia con me la famosissima
canzone di Gianna Nannini dal titolo “Fotoromanza”? Questo amore è una camera a
gas è l’incipit del ritornello che preannuncia già un amore strano, un amore insolito
e inconsueto, un amore violento e che fa paura. Traendo spunto dal testo dell’intera
canzone, che voi tutte starete già lì a canticchiare, questo mese vi parlerò di
un argomento molto frequente durante i colloqui che si svolgono nei centri antiviolenza. Già in altri articoli
e attraverso gli argomenti più disparato ho fatto cenno alla forma di violenza
più frequente ma meno visibile e percettibile, difficile dunque a riconoscersi,
quella psicologica; questo primo articolo di maggio però vuole approfondire un
aspetto ancora più subdolo di tale tipologia di violenza che, seppur
apparentemente, non lascia segni sul corpo di una donna ma la devasta nell’ “Io”.
Come
anticipato,la violenza psicologica è certamente un comune denominatore a tutti
i casi di violenza a cui spesso seguono le altre (fisica, sessuale, economica,
assistita, etc…): spesso nei racconti delle donne non mancano descrizioni di scenate
di gelosia (pubbliche e plateali), di situazioni di ipercontrollo, come per
esempio spiare il cellulare o dentro borse, cassetti e armadi; non mancano
ingiurie, né offese, né parole di denigrazioni, del tipo “tu non vali niente”.
Questi atti
violenti ripetuti giorno dopo giorno minano l’io della donna e ne debilitano certezze
e sicurezze, autostima e validità del sé fino a diventare tanto “normali e
quotidiani” che le donne stesse faticano a riconoscerla come una forma di abuso
e di violenza. Questa subdola e ambigua forma
di violenza prende il nome di “GASLIGHTING”.
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fonte: www.sovhealth.com |
Questo
termine si riferisce ad un comportamento altamente manipolatorio messo in atto
al fine di (indurre) chi lo subisce a dubitare di tutte le sue percezioni e
capacità di giudizio, fino a creare uno stato di confusione mentale e di
dipendenza dall’abusante, fino alla vera e propria produzione di un circolo
vizioso: più il soggetto abusato viene indebolito più si lega indissolubilmente
al suo carnefice e, di conseguenza, quest’ultimo rafforza il suo comportamento
manipolatorio giustificando così il perpetrare la violenza.
Comparso per
la prima volta nel titolo di un film statunitense del regista G. Cukor,
“Gaslight”( letteralmente “Lampada a gas” e tradotto in italiano con “Angoscia”)
è una pellicola che racconta la storia di una relazione coniugale pericolosa in
cui il marito racconta alla moglie una serie di false informazioni, nasconde e
fa sparire degli oggetti accusando la moglie di esserne la colpevole; le
offusca le sensazioni visive alterando l’intensità dell’erogazione del gas
delle lampade al fine di convincerla che una percezione così ridotta sia il frutto
della sua pazzia.
Così come la
moglie del protagonista del film, tutte le donne si fidano del soggetto
abusante fino ad abituarsi all’idea che
la loro opinione non conta o è sbagliata, comportando così la (perdita) dell’autostima, dell’autonomia
dell’Io, della capacità di prendere decisioni. In questo tipo di relazione
pericolosa la donna diventa dipendente, fisicamente e psicologicamente, dell’uomo, mentre questi accresce il suo potere e trae compiacimento dall’annullamento
dell’altro, anche e soprattutto in presenza di altre persone.
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Fonte: http://www.qwipster.net |
Le fasi del
gaslighting possono essere sintetizzate essenzialmente in 4 punti:
- dapprima
assistiamo ad una fase di comunicazione
distorta in cui l’abusante attua strategie che confondono la vittima e la
fanno dubitare di sé;
- in un
secondo momento subentra l’incredulità
in cui la vittima non crede a ciò che sta accadendo, né a quello che le
suggerisce l’abusante ed è confusa;
- subentra,
dunque, una fase di difesa in cui la
vittima con rabbia reagisce cercando di attaccarsi al suo esame di realtà e di
contrastare quanto le viene detto, perché reputato giustamente inverosimile;
- in ultimo
la fase della depressione e della
resa in cui la vittima soccombe alla realtà presentatale dal suo carnefice, in
cui perde definitivamente l’autostima con conseguente isolamento dal resto del
mondo e in cui stabilisce uno stato di dipendenza dall’abusante, vissuto come
buono e onnipotente.
Purtroppo
dal punto di vista giuridico è molto difficile dimostrare tale tipo di
manipolazione estrema, poiché il gaslighter è molto scrupoloso nell’attuare una
strategia senza tracce e, non di meno, il soggetto abusato, a causa del suo stato di
indebolimento, non ne riconosce la pericolosità.
Il compito delle operatrici di sportello antiviolenza, o di
centri antiviolenza, è quello, previa esamina dei casi e ascolto attivoe e proattivo, di pianificare un
percorso insieme alla donna in cui essa stessa viene “educata” al
riconoscimento e alla presa di coscienza di certi gesti pericolosi,violenti e
abusanti. Il percorso di uscita dalla relazione malsana e violenta con il carnefice
è molto insidiosa e piena di ostacoli: il cammino verso il recupero della
propria coscienza di donna e di entità a sé singola e pensante presuppone
sempre e comunque in primis la volontà della donna; il principio di
autodeterminazione deve essere sempre mantenuto attivo poiché senza di esso
ogni tentativo di “rinascita” potrebbe
rivelarsi vano con la conseguente sensazione di subire ulteriormente pressioni .
Miriam
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